Il film della Legge

Ieri, per la prima volta in vita mia, ho partecipato a un’udienza, presso il tribunale civile di Roma, che mi vedeva protagonista in qualità di ricorrente.
Di civile mi sa che c’è rimasto solo il codice. 
Che delusione!

I telefilm americani, le cui vicende si svolgono nelle aule giudiziarie, mi hanno messo completamente fuori strada.

Nella mia immaginazione, credevo che il giudice andasse chiamato “Vostro Onore”, che avesse le sembianze di James Earl Jones, che parlasse italiano, non siculo-italiano, che volesse – prima di farmi parlare per un minuto – sincerarsi della mia identità.
Nella mia fallace immaginazione, credevo che l’udienza si svolgesse a porte chiuse dal momento che il processo civile non è pubblico, quindi si tratta di una specie di “festa ad inviti”.
Sempre nella mia immaginazione, credevo che il rispetto della privacy non si sostanziasse esclusivamente su un numero di protocollo appeso fuori dalla porta dell’aula per fare in modo che all’esterno dell’aula non si conoscano i nomi dei partecipanti; questa è un’idiozia, dal momento che mentre io parlavo c’erano almeno una decina di intrusi in quella stanza. Diavolo di una privacy; una delle cose che più mi manda al manicomio. Rinuncerò a capire.
Credevo che la frase “La legge è uguale per tutti” fosse incisa su una boiserie di legno e non scritta, anzi stampata, su un foglio di carta A4 tenuto su un muro scrostato con del nastro adesivo.
Credevo che l’aula di tribunale fosse un posto quasi templare, dove ci si presentasse in ossequioso silenzio in rispetto della religiosità imposta dalla legge.
Credevo che un tribunale non avesse le sembianze sonore di un mercatino di quartiere.
Credevo che ci sarebbe stato rispetto. Anzi, a questo non ci credevo troppo.

Mi sa che ho visto troppi film americani.

Rispondi

Maggio 2007
L M M G V S D
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
28293031