Per lavoro, molto spesso, mi tocca l’ingrato compito di chiedere soldi a chi ha contratto debiti.
Senza aver vinto un Nobel, rifletto e mi dico “se questo non paga, non credo lo faccia sempre e solo per sfizio; magari non c’ha proprio una lira”.
E, infatti, la pratica mi ha confermato la validità e l’aderenza con il reale di questo semplice pensiero: vi sono due categorie di debitori: chi ha soldi, tanti in genere, perché non paga e chi non paga perché non ha.
Ieri ero in giro per lavoro per recuperare una piccola somma. Entro in un ristorante. Vuoto alle 21. Al banco una vecchietta, cui mi presento e chiarisco il motivo del mio essere lì. Chiama il figlio che stava nella cucina deserta. Mi guardano con l’aria di chi davvero non sa cosa fare e dire. So che professionale non è, ma me ne frego, li saluto e me ne vado, dando loro un appuntamento a un futuro “tornerò”, indefinito come il mix di senso di vuoto, rabbia e schifo che provo in queste occasioni. Gli occhi perduti nel vuoto della vecchietta valevano più di qualche euro e raccontavano storie di decenni di lavoro senza poter goderne oggi i benefici.
Rifuggo l’essere macchina fredda e calcolatrice ma soprattutto m’infastidisce e mi fa incazzare sentire che “l’Italia è ripartita”. Cari Renzi & C. fatevi un giro in mezzo a chi lavora e non arriva a fine mese, invece di chattare con Obama.
Romanamente parlando “li mortacci vostri”.
E de chi non ve lo dice.
Tornando a casa, mi sento alleggerito perché, se è vero che non ho fatto compiutamente il mio dovere, mi sono comportato bene, almeno secondo i miei parametri di bene che mettono in fondo alla scala il valore del denaro.
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